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Davvero. Io mi trovo in difficoltà.

E ormai la cosa va avanti da un pezzo, da quando il PD, parte politica in cui vorrei riconoscermi, non esprime quelle idee di sinistra che mi contraddistinguono e che vorrei che qualcuno rappresentasse per poi potermi permettere di entrare in cabina e mettere una croce decisa e convinta sul logo del partito. Eppure dieci anni fa ci credevo. Andavo contro un ideale liberista e utilitarista che mi sembrava fosse al di là di ogni logica dell’umana comprensione; un ideale di finta libertà, ispirato da un modo di fare che disprezza le regole, e allora le vuole cambiare per un tornaconto personale, permettendo scempi di ordine etico, finanziario, fino ad arrivare agli scempi della fine di una storia ventennale che hanno decretato la famosissima “morte della politica”.
In questo vortice post-tangentopoli, che avrebbe dovuto portare a una rifondazione di quella stessa politica triturata dalla magistratura, invece di ricostruire un palazzo sulle macerie di quell’altro, sono state riutilizzate le stesse macerie ed è stato ricostruito un altro palazzo, che per forza di cose e venuto giù un’altra volta, perché non puoi ricostruire una casa con le macerie di quella vecchia. Dieci anni fa ci credevo. Ci ho creduto tutte quelle volte che c’era da votare per combattere qualcosa che era già peggio del peggio. Ma adesso cosa c’è di peggiore del niente? Come si fa a trovare una base per poter scegliere i “buoni” e i “cattivi” se non hai che “cattivi”? come si può scegliere fra due cose se queste due cose sono francamente identiche e non riescono a distinguersi se non nel colore e nella forma, mantenendo la stessa, identica sostanza. “Così fai del qualunquismo.” mi si dirà. No. È realismo, duro e puro e molto frustrante. Perché è diventato difficile leggere di politica vera sui giornali per l’uomo della strada. È diventato difficile rimanere orgogliosi di un’affermazione fatta da un esponente politico. È diventato difficile credere nella buona fede di un segretario, difficile riconoscersi in un discorso di un presidente, difficile persino trovare delle somiglianze fra quello che faccio ogni giorno e quello che dicono coloro che chiedono di essere i miei preferiti per le prossime elezioni. Tutti. Come faccio a immedesimarmi in loro?
Prendiamo i leghisti. Fino a un paio di mesi fa, pur con tutto l’odio che mi infondono, l’antipatia per della gente che “laùra”, che “chel’ lé l’è un terùn”, che caga sulle bandiere tricolori sulle quali ha giurato fedeltà (per comodità), dicevo fino a due mesi fa potevo a malincuore dire che almeno avevano mantenuto una purezza etica e politica che rimaneva a pochi. O così davano a intendere. Poi invece, nemmeno la base, quella dura, quella alla quale io personalmente non darei ospitalità nemmeno al posto di un campo rom nella mia città, si è ritrovata senza un appiglio, quell’appiglio in cui una buona percentuale di votanti ha creduto alle ultime elezioni, quel barlume in mezzo al buio totale di uno scenario politico che loro hanno sempre criticato e che alla fine si sono ritrovati in casa, e nelle tasche.
Ecco. I leghisti, pur nella loro spocchia odiosa – e di questo un po’ sono contento – sono stati fregati proprio all’ultimo, quando sembrava che oltre le liste civiche ci potesse essere ancora qualcosa di politico che reggesse l’onta dell’antipolitica fatta dalla stessa politica.
E quindi mi sento nudo, almeno politicamente, e mi dispiace. Perché vorrei trovaere almeno un paio di mutande e ripartire da quelle.

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