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::Dieci anni di differenza.

La gente sembra essersi abbrutita. O sono io che ho cambiato il mio modo di vedere la mia città, quasi dieci anni dopo, migliaia di chilometri di guida dopo, centinaia di persone incontrate sulle strade dopo, in giro per l’Italia (mi sento in grado di poterlo dire, sì). Stamani pensavo al senso del buon senso – e scusate il gioco di parole. Sto qui a pontificare il buon senso americano, la praticità quotidiana applicata nelle piccole cose da ogni singolo cittadino, e allo stesso tempo mi chiedo se qui ha ancora un significato l’applicazione del buon senso, o la ricerca di esso. L’abbrutimento è dato dalla mancanza di questo buon senso, dall’eccessiva sicurezza di sé davanti alla domanda istintiva e preventiva riguardante la cosa che stiamo andando a fare, tre secondi dopo, e che ci porta ad agire secondo il nostro istinto appunto, corredato da quel minimo di riflessione adatta per poter valutare la conseguenza di ciò che ci accingiamo a fare.
Ebbene, mi sembra proprio che manchino alcuni dei fattori che ho appena citato. Manca la riflessione (che personalmente mi viene istintiva), manca la capacità di valutazione della conseguenza del nostro atto. Ho l’impressione che tutto sia preso e dato al caso, all’insegna di due importanti e assolutamente non sottovalutabili fattori caratteriali che a dieci anni di distanza mi accorgo di scorgere i quelli che all’anagrafe non sono più miei compaesani: la non curanza nel fare le cose, corredata da una certa arroganza di un diritto quasi naturale ad agire in tali termini; l’abbondante istinto di sopravvivenza gonfiato a dismisura forse dalla paura di farsi fregare. Sono tutte cose piccolissime, quasi banali se presentate singolarmente e decontestualizzate, ma piene di significato se elencate all’interno di una normale giornata lavorativa in giro per le strade in automobile, a piedi dopo averla parcheggiata, all’interno degli esercizi commerciali, infine, in generale, guardando il paesaggio e confrontandolo con quello che era dieci anni fa, quando veniva vissuto dal sottoscritto quotidianamente, e con un piglio forse più ingenuo, senza l’ausilio di altre esperienza che in due lustri si sono accumulate, creando così quel naturale termine di paragone, motore unico di queste righe.
Dicevo della non curanza e della sfiducia in chi ci sta intorno. E del buon senso. I primi due fattori hanno bisogno di assumere una causa, una scintilla che permetta loro di accendersi e causare a loro volta comportamenti che non possono in nessun modo contemplare il terzo.
La non curanza nel fare le cose causa il caos, la completa anarchia, la cui epifania avviene anche sotto gli occhi pigri e volutamente impotenti di chi il caos lo dovrebbe attenuare, quei vigili urbani, poco vigili e poco urbani che, a cercare su internet il contrario di ‘vigile’ meriterebbero più che altro l’aggettivo di ‘distratto’, ‘assorto’, ‘sonnacchioso’, fino alle più spigolose accezioni di ‘rimbecillito’, ‘stordito’, ‘rincoglionito’. L’inutilità della loro azione è pari e contraria all’attaccamento alla firma che hanno posto in calce al contratto di lavoro propostogli, all’insegna del ‘me l’hanno dato e nessuno me lo tocca’, capiti quel che capiti. Nessun ausilio alla cittadinanza, in un circolo vizioso che contempla dall’altra parte la percezione dell’ausilio come un’invasione inaccettabile all’applicazione del concetto locale di convivenza (che mi riservo di osservare e cercare di spiegare una volta acquisito).
Concetto di convivenza che forse deriva dal distorto rapporto che si instaura fra utenti della stessa città-servizio. Una giungla in cui conquistare ogni centimetro per non rischiare di trovarsi senza non si sa bene cosa: un posto dove parcheggiare l’auto? La privazione di quei due tre metri in più da percorrere che dividono l’auto dal negozio di cui ci stiamo servendo? Non l’ho capito. E anche qui mi riservo etologicamente di osservare il comportamento dei soggetti in lotta.
Infine il buon senso, grande assente, di cui è inutile tessere le lodi e per il quale si dovrebbero sovvertire le cose di cui sopra, alla ‘Matilde Serao’, in un’applicazione estrema di quello che manca dal profondo.

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