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::Dubito

Sistemiamo un attimo le idee: in Spagna si sono rotti di essere governati da dei vecchi incompetenti e sono scesi in piazza con il Movimento 15-M (dove ‘M’ dovrebbe stare per ‘mayo’, maggio, il mese della protesta),. A Piazza Catalunya, complice (pare) la finale di Champions’ con Il Barcelona, la polizia ha sgombrato la zona e un’ottantina di persone sono tornate a casa con la testa manganellata. A Madrid è andata un po’ meglio: partiti che erano in 400, si sono ritrovati a Puerta del Sol in 6000, accampati ordinatamente, e altrettanto ordinatamente in grado di organizzare assemblee ‘costituenti’, delegazioni di pensiero, insomma tutto quello che fa pensare a un movimento ordinato pronto a portare avanti in maniera civile le proprie idee. Pare inoltre che queste idee siano di bloccare un Paese che non riesce a venire fuori dall’alternanza di governo fra PSOE e PP, e l’unica maniera di affermarsi sia quello di suggerire di non votare nessuno delle due coalizioni che si spartiscono il Governo iberico. Inoltre, il movimento è forte di un manifesto che ne riassume le intenzioni.
Tutto molto bello – come diceva il buon Pizzul. La sola cosa che mi domando è come questo movimento riuscirà a concretizzare la propria protesta. Come riuscirà a ottenere la riforma della legge elettorale. Come impedirà la presentazione di imputati o condannati nelle liste elettorali. Come riuscirà a scalzare l’ormai radicata (come in Italia, del resto) classe politica e sostituirla con dei personaggi che realmente incarnino le volontà di chi è veramente in difficoltà.
Io approvo l’intento, lo apprezzo. Ma ne dubito, ahimè. Dubito che una proposta civile possa far cambiare la rotta di un sistema deviato. Dubito che delle azioni poco incisive che non vadano oltre la protesta formale possano scalfire le porte del palazzo. Dubito che arrivino risultati perturbati come si sono avuti in Egitto, in Tunisia o Libia. Dubito che qualcuno sia talmente disperato da darsi fuoco negli uffici governativi, che qualcuno sia in grado di attuare seriamente un’azione di forza contro le imposizioni che vengono dall’alto.
Tutto questo significa sacrificio. Del nostro benessere, dei nostri beni, dei nostri averi, delle nostre sicure eredità, delle nostre auto assicurate, delle nostre ferie, della nostra fedina penale, se serve. Abbiamo paura del sacrificio di farci togliere quella libertà che abbiamo ereditato insieme ai debiti. Abbiamo paura di offrire il petto ai proiettili, paura di prendere le manganellate in piazza, paura di perdere. Perdere quello che ci hanno maldestramente regalato, quel niente farcito di belle parole e di nulle speranze su un futuro che non c’è, paura di rinunciare a questo benessere. Perché fin quando torneremo a casa a riguardare sul 40 pollici il servizio sulla manifestazione a cui abbiamo partecipato di sabato pomeriggio, possiamo star sicuri che non ci sarà nessuna primavera europea.

 

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