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Gli americani, fra trent’anni

Come saranno gli americani fra trent’anni? Se lo chiedono su policymic.com dopo aver letto il National Geographic, il quale lo scorso ottobre, per festeggiare i 125 anni di attività, si è affidato all’obiettivo di Martin Schoeller, fotografo ritrattista tedesco che fa ritratti come questi. Il risultato è una varietà cromatica e somatica di volti che sfondano i canoni etnici e proiettano la popolazione americana verso una “mega-razza” (come se quella umana già non lo sia) di ibridi.

Prima i numeri. Secondo i dati, nei primi anni 2000 6,8 milioni di americani sono nati da unioni interetniche, per poi diventare 9 milioni dieci anni dopo con un incremento del 32%. Così come i matrimoni misti sono il doppio rispetto a 25 anni fa e l’8,4% del totale. All’interno delle fasce di popolazione, gli under 30 e i laureati sono più propensi all’unione mista, e visto che la popolazione americana è fatta di ventenni o poco più che stanno frequentando l’università il risultato è facilmente immaginabile. Ancora: visto che nel New England e nel Midwest ci sono pochi neri, pochi ispanici e pochi messicani, ecco che la maggioranza delle unioni miste è rilevabile nel West e nel Sud, semplicemente perché sussistono delle circostanze numeriche che favoriscono tale pratica.

National GeographicDetto ciò, il nocciolo della questione è molto semplice: il Nuovo Mondo si ritroverà fra una trentina d’anni a contemplare tantissimi individui dai tratti somatici ibridi, ma come la metteranno con l’identità etnica? Posto che (è detto e ridetto) non ci sono differenze biologiche fra “razze” e che dunque proprio di “razza” non possiamo parlare, ci sono tuttavia differenze fra identità d’appartenenza di diversi soggetti che si trovano custodi di due diverse culture, quali sono quelle ereditate dai genitori appartenenti a due etnie distinte. Due lingue, due bagagli culturali, due tradizioni, due colori della pelle, due bagagli genetici da far convivere con se stessi, la propria personalità e il mondo con cui si approcciano alla società nella loro esistenza. Alla fine, l’individuo ibrido è la naturale conseguenza dell’unione di due esseri umani dotati di intelletto e sentimenti validi l’uno per l’altro. Laddove è possibile procreare, la mescolanza produce gli effetti visibili nelle foto di Schoeller.

Non ci sarà più spazio dunque per le visioni categoriche che sezionavano l’umanità in compartimenti stagni; né potremo fermarci alla prima occhiata per stabilire la provenienza di una persona per il colore della pelle. Certo, a prima vista i tratti somatici ci aiutano a immaginare l’origine di una persona, ma sappiamo che molti altri fattori incidono nella scelta dell’identità da parte dell’individuo, che valuta il proprio ambiente per decidere a quale gruppo appartenere o come comportarsi secondo i canoni della cultura di cui vuol fare parte. Così succede ai soggetti ritratti dal NG, prove viventi (e non ritoccate da Photoshop).

Ragazzi mezzi Thai e mezzi neri che si sentono prima di tutto asiatici perché sono cresciuti con quell’inprinting culturale; studenti che si rivalutano come blackaneses, ovvero black and japaneses; oppure juskimo, dall’unione di due culture lontane fra loro e allo stesso tempo vicine come ebrei (jewish) ed eschimesi (inupiat/eskimo). O ancora blaxican, commistione di cultura nera e messicana, seppur con qualche remore da parte dei tradizionalisti che affermano che “una goccia di sangue nero fa di te un nero”.

E se come è giusto, incontrando uno di questi uomini e donne non si saprà l’origine della loro provenienza, basterà chiedere loro CHI si sentono. Risponderanno secondo quello che veramente sono.

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