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Nero e fiero

È brutto da dirsi, ma il razzismo al contrario funziona. Perché mentre il bianco coccola e rincoglionisce il proprio figlio di sette anni, svestendolo e rivestendolo da piccolo calciatore negli spogliatoi prima della partita, il nero africano è lì che magari ci mette sedici minuti per infilarsi un calzettone, ma è pur sempre autonomo per cambiarsi, mettersi la maglia, i pantaloncini, parastinchi e calzettoni. Le scarpe gliele allacci, certo, ma fa veramente effetto come la nostra bella etnia bianca coccoli il proprio cucciolo fino a non si sa che età, preparandogli la borsa per gli allenamenti o le partite, sfilandogli la felpina mentre lui, futuro calciatore o calciante a seconda del fato e della propria voglia di continuare, si diletta a scherzare con gli i compagnetti di squadra su quanti gol faranno o prenderanno.

Invece lui no, fiero rappresentante del popolo nero con la parlata che farebbe invidia a qualsiasi discendente diretto di Dante, la C aspirata e tutto il baglio linguistico del territorio in cui è nato e sta crescendo, è lì da solo, inconsapevolmente fiero di sé e tranquillo, libero da questi adulti che sono lì a vestirli fin quando non verranno mandati naturalmente a quel paese, ché la Natura prima o poi si spera che faccia il suo corso e il pre-adolescente si dovrà ribellare e invocare la propria libertà di dimenticare un parastinco o una scarpa, imparando finalmente a controllare cosa manca nel borsone da solo, senza nessuno che glielo prepari. Imparando a essere grandi.

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