… sentivo parlare di cose che non erano adatte – e non lo sono tutt’ora – agli interessi che può nutrire un essere umano che non ha ancora compiuto 14 anni. Come tutti, giocavo a pallone per strada col supersantos (il super tele era troppo leggero e faceva le sue odiose traiettorie) e facevo gol sulle saracinesche dei garage, mi sbucciavo le ginocchia, giravo in BMX e prendevo la rincorsa per fare le frenate con la ruota posteriore e facevo a gara per chi lasciava la scia di gomma più lunga. Il tutto dopo aver fatto i compiti e prima di venire chiamato dalla mia mamma che aveva preparato cena. Alle 8 di sera si cominciava a mangiare, cominciava anche il telegiornale, poi se c’era quark lo guardavo con mio papà, altrimenti andavo al pc a giocare a sensibile soccer. Alle 9 e mezza a letto: mio papà insisteva su quell’orario perché sennò la mattina dopo erano problemi per alzarsi.
Quando nel ’92 quel telegiornale ci disse che a Capaci erano saltate in aria delle auto in autostrada e due mesi dopo ci raccontò di un’altra esplosione a Palermo, io chiesi tante spiegazioni a papà. Bene o male avevo capito che era capitato qualcosa di grave, ma non ero tanto preoccupato, perché la mattina dopo mi alzavo nello stesso letto, alla stessa ora e come ogni mattina in cui mio papà era libero dal lavoro andavo verso il mare con lui.
Lo stesso nel ’93: quelle persone che a Roma inveivano con le 1000 lire in mano contro Craxi, mi sembravano parti pittoresche di un gruppo che non era d’accordo con qualcuno o qualcosa, e allora si erano arrabbiate e avevano reagito così.
Poi iniziai ad ascoltare i telegiornali, oltre che vederli e guardarli. Iniziai a capire cos’era la destra e la sinistra, iniziai a distinguere i personaggi politici, iniziai a sentire di altre storie che erano successe quando io non ero ancora nato, o quando ero talmente piccolo che non badavo praticamente a niente.
Fino a quando alla soglia della maggiore età, ho capito e mi è venuto anche spontaneo, che bisognava interessarsi a quello che accadeva, a quello che ci raccontava la tv, o i giornali, e che dietro a ognuno di questi fatti c’era una storia, o se non c’era, si poteva comunque evincere e intuire da che parte stare perché in passato c’erano state altre storie che non condizionavano direttamene il presente, ma dalle quali il presente poteva trarre degli insegnamenti.
Allora ho iniziato a leggere di Moro, Ustica, Moby Prince, Brigate Rosse; Sindona, Calvi; ho letto di logge massoniche, di lobby potenti, di raccomandazioni dei potenti. Mi chiedevo come sia fatta la vita di chi detiene questo tipo di segreti, quali pensieri passano per le loro menti appena svegli, il giorno dopo l’avvenuto suicidio o la morte “accidentale” di qualcuno legato in qualche modo a loro. Mi chiedevo – e lo faccio tutt’ora – di quali vantaggi materiali, nelle piccole cose di tutti i giorni, potrebbero giovare tutte le persone che in qualche modo gravitano attorno a informazioni altamente riservate, in che modo queste persone conducono la loro vita, consapevoli del fatto di far parte di un mondo parallelo, parallelo ad altri esistenti dalle Alpi all’Isola delle Correnti. Un mondo proposto al comando, alla macchinazione, all’occultazione di meccanismi che, noi tutti ignari, modellano il senso dell’esistenza di un’istituzione, se non addirittura di uno Stato.
E poi, a quasi trent’anni, con la stessa ingenuità di sempre di chi è piccolissimo, di chi si alza 6 mattine a settimana per andare in ufficio, di chi ha una ragazza con cui ha i suoi normali e vitali alti e bassi, mi chiedo il perché. Perché tutte queste cose sono accadute con una frequenza altissima nel mio Paese? Perché non si è mai riuscito a venire a capo di storie successe decenni fa? Esistono delle analogie negli altri Paesi europei, quegli stessi Paesi di cui ci fregiamo di essere partner commerciali, di cui ci fregiamo di collaborazioni economiche e culturali, con cui condividiamo una moneta unica? Sono capitate cose simili al Caso Moro chessò, in Germania? O casi tremendamente insoluti in Francia? O meccanismi capaci di stravolgere la stabilità della repubblica in Belgio o Spagna (che non sono repubbliche, ma hanno un apparato parlamentare e democratico simile al nostro)? O siamo gli unici esponenti del “civile e avanzato Occidente” a essere afflitti da questi cronici enigmi, insabbiati da non si sa chi e non si sa perché?
Ecco, a quasi trent’anni io mi chiedo ancora queste cose e non me ne capacito.