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Solo Charlie Hebdo è (e forse sarà) Charlie Hebdo

Io non sono Charlie Hebdo. Non so come si scriva in francese, o meglio, conosco la pronuncia – je ne suì pà ciarlì ebdò – e tuttavia so che non potrò mai essere loro, come nessun altro, se non loro stessi.
Non sono Charlie Hebdo prima di tutto perché non ne condivido lo stile. La si chiami come vi pare, vilipendio alla religione, bestemmia, offesa al pudore etico, diritto di offendere, satira fastidiosa. Come vi pare. Non ne condivido un singolo tratto. Non mi frega nemmeno che il mio pensiero possa essere avvalorato dal fatto che ho abbandonato la religione con l’ingresso nell’adolescenza (compirò 32 anni ad aprile).
Non sono Charlie Hebdo perché non ne condivido le idee e come spiegano su Atlantic, non avrei la stessa storia. Non ho la stessa storia. Dicono che la radice di tale sfrontatezza sia da andare a ricercare addirittura ai tempi della rivoluzione francese, quando la bile per i reali era tanta e tale che pare cominciò da lì questo modo di fare satira, pesante e più che irriverente. Non condanno. Ma tale satira mi piace evitarla perché sono convinto che se ci deve essere convivenza, bene preziosissimo, ci deve essere un prezzo da pagare – e non intendo porre la vita come moneta di scambio. Intendo cercare di capire fin quanto mi posso spingere per non oltrepassare i limiti del reciproco rispetto, limiti che la nostra società non ha mai provveduto a insegnare, né a “noi”, né tanto meno a “loro”, trincerandosi dietro incomprensibili velleità tolleranti. Non si può tollerare senza insegnare a rispettare semplici regole di convivenza, anche con il rischio di passare per intolleranti. In alcuni paesi lo hanno capito, e lì almeno il politically correct imposto dall’alto e dalla Storia ha prodotto una società che sa che il vicino è diverso per definizione (al netto di conflitti razziali, ma questo è un altro discorso).
Non sono Charlie Hebdo perché, come nessuno, avrei la tenacia di fare quello che fanno loro. Come non avrei la tenacia di fare quello che hanno fatto i vari Impastato, Falcone, Borsellino, Siani. E non sono nemmeno sicuro che molti di quelli che dicono di essere Charlie Hebdo sarebbero capaci di avere tenacia e perseveranza nell’esporsi a un rischio altissimo come è successo a Parigi.
Non sono Charlie Hebdo perché se il mio direttore comincia ad avere una visione sfrontata di come gestire il suo giornale, con offese gratuite a destra e a manca, non sono tanto sicuro che condividerei la sua scelta, solo perché “libertaria” e coraggiosa. Esporsi sì, ma il rischio della mia vita porrebbe un limite alla mia libertà di espressione. E la mia libertà di espressione cammina di pari passo con la mia libertà di vivere in tranquillità.
Nessuno di voi è Charlie Hebdo. Perché fino alla mattina dell’11 di gennaio non sapevate nemmeno che esistesse Charlie Hebdo, e se avete cliccato ‘mi piace’ su Facebook siete ancor meno Charlie Hebdo, insieme al restante milione e cinquanta persone che dall’oggi al domani si sono scoperti fan di un giornale e paladini della libertà di espressione.

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