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Svegliami quando hai finito.

Certo è che quando si parla di un tema, nel nostro Paese è anche (malsana) cultura quella di andare a toccare anche soggetti surrogati dal tema, escursioni, fuoriuscite dal tema, fino a finire di parlare di questioni che con il tema principale e centrale ci azzeccano ben poco.
Il calcioscommesse. Data la radice della parola composta, inevitabilmente si finisce a parlare di calcio, o comunque la gente, quando vuole parlare di calcio, va a finire lì, a quell’amalgama di sensazioni garantiste o giustizialiste che animano i dialoghi sbraitanti dei bar italiani. Il calcio non è il calcioscommesse. Tanto per esser chiari e dare una direzione a queste righe. Parlare di calcio non è parlare di calcioscommesse. Il primo si basa un ragionamento che è insieme oggettivo e soggettivo, in quanto è inevitabile quanto sia chiaro che una squadra gioca bene ma perde (valore oggettivo) e sia altrettanto cristallino che uno sostiene la bontà del trequartista piuttosto che dei tre a supporto dell’unica punta (valore soggettivo). Si parla cioè di cose che riguardano il calcio, quello sport per il quale una trentina di persone ogni settimana calpestano un prato rettangolare per un’ora e mezza e prima e dopo vivono un’atmosfera particolare, ricca di tensioni, paure, adrenalina. Io nel calcioscommesse di tutto ciò non ci vedo niente.
Nel calcioscommesse, uin mezzo a scartoffie e sentenze, dichiarazioni introiettate di sangue e conferenze stampa fiume non ci vedo la passione che sento guardando una partita di calcio.
Detto questo, da interista che vede l’altra squadra, la più odiata da sempre, a pelle ed esclusivamente, mi viene da dire che:
a)      non riesco a pronunciarmi sulla colpevolezza o meno degli indagati. Non mi intendo di cose processuali, di udienze e di diritti sportivi. C’è chi attacca e chi si difende e tutto e il contrario di tutto può considerarsi veritiero o meno. Quindi non ho un punto di riferimento nel sentire l’allenatore di una squadra professarsi innocente o nel leggere le sentenze della giuria che lo condanna;
b)      non avendo punti di riferimento e non essendo cose che riguardano il calcio giocato, non le seguo, e anche se cercassi di seguirle ritornerei al punto precedente, affermando la mia completa ignoranza volontaria della conoscenza di tali procedure. Se fossi stato un laureato in giurisprudenza o un giornalista del settore magari avrei avuto più motivazioni nel seguire la faccenda;
c)      solo un pensiero mi viene spontaneo nel vedere determinate situazioni. Mi pare palese che QUELLA società faccia conca. Dal 2006 ad oggi pare che stiano ancora pagando lo scotto di anni di celate e malcelate ruberie, alcune punite e alcune impunite, alcune venute fuori in maniera naturale, altre ricercate in affari contigui e riguardanti dipendenti di QUELLA società e solo perché è QUELLA.
Certo è, concludendo, che non sapendo né leggere e né scrivere di diritto sportivo, e non riguardando queste vicende l’Inter (benché qualcuno tiri in ballo medievali “guardie nerazzurre”), mi sento di poter affermare che sì, non arriveremo mai a un punto d’incontro: loro sulla loro riva, noi sulla nostra, nessun progetto di ponti da costruire né zattere di collegamento tra le due sponde, ascoltando echi sporadici di gente che strilla “vergogna” dopo esserne stati i campioni, soprassedendo su scene pietose di stelle comete. L’importante è che la nostra Storia non venga turbata dalle loro inezie. Loro sulla loro sponda. Noi sulla nostra. Nel mezzo un fiume largo e profondo quanto un oceano.

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