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Tutti per uno: se stessi

L’ennesimo capitolo dello sfascio si è svolto a Genova, con la storia dello sciopero di cinque giorni degli operatori dell’AMT e del consequenziale blocco del trasporto pubblico genovese. Pare che il motivo dello sciopero sia la paventata privatizzazione dell’azienda pubblica, un’altra – ancora un’altra – che arriva al bivio pauroso che da una parte porta al mantenimento dell’apparato così com’è e dall’altra giunge a una via nuova, quella della privatizzazione appunto, che ultimamanete sembra essere diventata la cura alla devastazione di quell’azienda ridotta in brandelli che è il nostro Stato.

Che sta succedendo? Ho come l’impressione che il nostro welfare si stia pian piano americanizzando, nel senso che stiamo sempre più avvicinandoci al punto che quello che dovrebbe essere un servizio pubblico garantito dallo Stato, appunto, si sta trasformando in un affare privato, gerstito comunque in maniera privatistica, in modo da impedire a una società pubblica di gestire la cosa, poiché è proprio lo Stato, proprio come succede olttre oceano, a defilarsi e a consentire ai privati di gestire le faccende.

Intendiamoci: il servizio pubblico, anzi, il servizio AL pubblico deve funzionare, deve essere efficiente e consentire al cittadino di poterne usufruire e di essere soddisfatto del suo funzionamento. Un’azienda di trasporti dovrebbe garantire la possibilità di poter privarsi del mezzo proprio e usufruire del mezzo pubblico in completa tranquillità. La vera ricchezza consiste nel potersi permettere di non possedere un’auto o un motorino e sapere di poter contare su una rete di trasporto pubblico che mi consenta di arrivare dove voglio in maniera comoda e sicura, senza il pensiero di dover pagare per un parcheggio, perdere tempo per cercarlo, fino alla più utopistica idea che tocca l’ambiente e i dati sulle emissioni di auto e mezzi inquinanti.

Il servizio pubblico, inteso iun questo modo, pare però una vera e propria chimera nel nostro paese, schiavo com’è di diversi fattori che bloccano da sempre il bene comune a vantaggio di un soddisfacimento di bisogni strettamente pesonali che impediscono da sempre che si vada avanti in maniera civile. Insomma un modo come un altro per dire che in Italia ognuno pensa soprattutto al proprio orticello e poco o niente al benessere della società in cui vive.

La questione dei trasporti pubblici di Genova si diceva, è un altro dei capitoli della mala società in cui è impantanato il nostro paese: uno dei beni pubblici più tangibili (il trasporto pubblico con la sanità, la scuola, l’amministrazione pubblica e scusate se non me ne vengono in mente altri) è in pericolo e rischia di collassare semplicemente perché la sua gestione è stata finalizzata non ada arricchire il pubblico che ne usufruisce, bensì a utilizzarlo per arricchire con il suoi soldi il bene privato, ossia quello di chi ha (mal)gestito la cosa. Il che vuol dire che come al solito, il bene pubblico italiano è stato usato come paravento per coprire pratiche di arricchimento personale di dirigenti. Siamo in Italia, che ci vogliamo fare?

Si diceva prima della privatizzazione di ciò che è pubblico e del fatto che dovrebbe soddisfare il bene comune. Il problema in Italia è che comunque la si prenda, si rischia di affossare e perdere di vista lo scopo primario del progetto, ovvero consentire alla gente comune di poter usufruire di un servizio che funzioni. Ecco: se il servizio è pubblico, c’è il rischio che non funzioni perché, proprio essendo pubblico, c’è la tendenza dei vertici di approfittare della situazione e una certa ingordigia nel trattare come propri i soldi di chi usufruisce del servizio, mentre il lavoratore di base tende ad arrivare al 27 comunque vada; se si paventa la possibilità di una privatizzazione del servizio, salgono in cattedra le decine di poteri forti italiani per la tutela di qualsiasi diritto, perché niente cambi e resti tutto come prima, cioè che nessuno venga licenziato (giusto, per carità), che l’azienda rimanga “in mano alla collettività” (ma a poter usufruire dei benefici sono sempre in pochi), e tante altre belle cose che fanno ristagnare la società pubblica in quel pantano chiamato “interesse personale”, che è di tutti e frammenta in quante sono le parti di un’azienda l’interesse pubblico, sparpagliandolo e di fatto annientandolo.

Leggendo dai commenti agli articoli su questa storia di Genova, si presume che chi li scriva sia di Genova, o comunque si trova a stretto contatto con i trasporti genovesi. Una delle cose che mi ha colpito di più è che viene per l’ennesima volta riscontrato il fatto che nessuno, o comunque in pochi paghi il biglietto per usare i trasporti. Ora, visto che il biglietto è una delle entrqate primarie di un’azienda di trasporti pubblici, è facile arrivare alla conclusione che mancano un po’ di soldi nella casse della suddetta azienda. Nessuno, però, almeno da quanto ho letto io, pare proporre ufficialmente di aumentare i controlli nei confronti di chi viaggia senza biglietto, attuando misure di sicurezza che stronchino una volta per tutte questa moda. Nessuno pare proporre un drastico quanto concreto cambiamento delle abitudini del passeggero italiano medio, il quale non è costretto da barriere fisiche a munirsi ìdi un titolo di viaggio valido. Per intenderci: sarebbe un bene impedire materialmente di salire sui mezzi a chi non ha il biglietto valito, sia essoi timbrato o da esibire all’autista o a chi autorizza l’ingresso nel mezzo. Girando per l’Europa ci è capitato di vedere barriere fisiche a separare la zona di accesso ai mezzi dalla zona dove poter acquistare i biglietti, oppure l’obbligo di salita da davanti in un bus, ossia il passaggio obbligatorio davanti l’autista che possa così controllare (ed ebentualmente impedire) che la gente possa salire in maniera regolare. Il problema è che in Italia il minimo controllo taccerebbe il promotore di fascismo, di eccessivo zelo o pedanteria.

Sono cose dette e ridette, anche risapute. Però nessuno le proprone ufficialmente. Il pensiero va subito al mantenimento del posto di lavoro senza se e senza ma, al volere i diritti di tutti sempre, a oltranza, senza rendersi conto che la garanzia di un servizio dovrebbe essere messa non al primo posto, ma all’unico posto possibile, fuori graduatoria di una lista di interessi pubblici che devono essere soddisfatti, senza il blocco massonico di decine di istituti che difendono i diritti di questo o quell’altro dimenticando il prgrtesso delle cose basilari.

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