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Pubblicizzare qualcosa che non c’è per farsi pubblicità

Di solito vediamo pubblicità di prodotti e servizi che esistono o che stanno per essere immessi nel mercato. La società che li emette si adopera e investe dei soldi per mettere in moto tutto quell’apparato che gira attorno alla pubblicità, appunto, coinvolgendo svariate figure che operano nel campo: creativi, autori, creatori di jingle commerciali, concessionarie. Lo spot viene fuori e pronto per essere lanciato e ci sono dei tempi dettati dal marketing per far sì l’oggetto diventi accattivante e attiri più consensi possibili, meglio se in forma di consumo e quindi entrate monetarie, le quali permetteranno alla società o azienda committente di ripianare le spese per aver mosso il meccanismo descritto in breve nelle righe che avete appena letto.

C’è chi invece pubblicizza qualcosa che non esiste e non esisterà (forse) mai, semplicemente per farsi pubblicità, inventando la storia di questo non-prodotto. La società in questione è la Combocut, una video agency, ovvero un gruppo di persone che si occupa di inventare un video pubblicitario qualora abbiate un’azienda e vorreste farvi pubblicità. Come tutte le agenzie pubblicitarie, loro vi ascoltano, cercano di capire quali sono le vostre esigenze e le reinterpretano creando dei video, che poi si incaricano di gestire all’interno dei canali che meglio si adattano, secondo loro, a canalizzare i clienti verso di voi. Se andate sul sito vi potete fare un’idea di quello che fanno e come lo fanno.

Ma un’agenzia pubblicitaria è essa stessa un’azienda che ha bisogno di farsi pubblicità, e quindi si sono rivolti a loro stessi per fare ciò che di solito fanno per gli altri. Un po’ come i cartongessisti: andate a casa loro ed è tutto un controsoffitto e pareti di cartongesso. Così la Combocut si è inventata un’app inesistente, si è inventata il video e ha usato i social come cassa di risonanza. Non solo. Qui spiegano come si sono mossi, passo dopo passo, per convincere i siti più seguiti a fare una pubblicità che non c’è. Dalla spiegazione si capiscono tante cose su come funziona il marketing, quanto lavoro c’è dietro, quanti contatti bisogna avere sotto mano per far rendere al massimo il proprio lavoro, soprattutto se questo serve a generare entrate per il cliente e di riflesso per se stessi.

La parte più bella è proprio quella della ricerca dei canali disposti a parlare della tua creazione: l’utilizzo di strumenti adatti a capire quante persone avrebbero potuto vedere il video, solo perché quelle persone sono assidue frequentatrici dei siti di maggior tendenza in Italia, secondo dei parametri che prendono a modello il target di riferimento di questi siti, ovvero le persone a cui si rivolgono. Trattandosi del lancio di un’app, la forbice ha compreso quei portali dedicati alla tecnologia, a coloro che cercano informazioni sui nuovi gadget da installare sul cellulare, oltre a un mondo parallelo non proprio attinente a questo campo, ma più ampio, giusto perché una delle essenze del marketing è quella di gettare la rete anche in un mare poco pescoso, ché qualche pesce, giacché creatura di mare, abbocca sempre.

L’app che non c’è, in effetti, soddisferebbe chiunque, non solo gli appassionati di tecnologia. AIRWnC, ovvero come cercare un gabinetto nelle vicinanze con il proprio smartphone. Un’idea geniale, se ci pensate, sia per l’utente, sia il fornitore. Vi scappa? Se avete scaricato l’app (che non c’è) potete collegarvi e, come Tripadvisor vi elenca bar e ristoranti, AIRWnC vi fa l’elenco dei cessi disponibili, previamente caricati da persone generose che hanno deciso di mettere a disposizione il bagno di casa propria in soccorso dei vostri bisogni intestinali. La Combocut ha talmente fatto le cose per bene che ha inventato anche una tariffa da soddisfare in caso di utilizzo del bagno e una serie di regole contrattuali che normano l’utilizzo di app e bagni. Chi usa il cesso è disposto a pagare (4 euro il quarto d’ora; eventuali spese in più se la seduta si protrae); chi mette a disposizione il bagno si occupa di farlo trovare pulito e con le facilitazioni del caso, così da offrire un servizio impeccabile e guadagnarci anche in stima e affetto dell’utente e del suo sfintere.

Il tutto confezionato ad arte per farsi pubblicità, per far vedere di cosa si è capaci. Pare che la cosa abbia funzionato in termini di contatti sui social. Il fatto che state leggendo di questa cosa conferma la loro teoria.

2 replies on “Pubblicizzare qualcosa che non c’è per farsi pubblicità”

Non è una novità, non conosco la tua età, ma ti assicuro che è stato già fatto – alla fine degli anni ’80 – in televisione da Renzo Arbore che pubblicizzava il Cacao Meravigliao, prodotto mai esistito! (Trasmissione “Indietro Tutta” )

Sì. È vero. Ero piccolino (5-6 anni), ma ricordo di aver poi scoperto la leggenda per la quale la gente cercava nei supermercati il Cacao Meravigliao.

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