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Come parlare della morte di Robin Williams responsabilmente

La morte di un attore famosissimo come Robin Williams è uno di quegli avvenimenti per i quali il web subisce le impennate maggiori, sia in termini di produzione di contenuti, sia per quanto riguarda il consumo dei contenuti. Articoli su articoli, foto su foto, condivisioni di video di spezzoni, che vanno dai più classici brani da “L’attimo fuggente” o “Will Hunting” a interventi dell’attore al Saturday Night Live, quando il SNL era al top. Avvenimenti come questi rischiano poi di conferire ulteriore drammaticità alla già non piacevole notizia di un attore noto e apprezzato dal pubblico che si toglie la vita. Si tratta pur sempre di una persona in grave difficoltà che ha trovato giusto compiere quel passo.

Per questo motivo, su Poynter si espone il problema di come parlare di un evento del genere in maniera responsabile, puntando l’attenzione soprattutto su come, per esempio, il tasso americano di suicidi di babyboomers (i nati dopo il secondo dopoguerra) sia gradualmente e costantemente aumentato dal 2000. Poynter riporta anche le linee guida che l’Associazione Americana per lo Studio sui Suicidi (American Association of Suicidology) ha diramato ai giornalisti per una copertura mediatica atta a non sensazionalizzare l’accaduto, ma anzi a sensibilizzare la popolazione.
Secondo l’AAS infatti, più di cinquanta studi hanno dimostrato che notizie come queste possono aumentare la probabilità di altri suicidi tra le persone che già sono vulnerabili. Inoltre, questa probabilità aumenta con il protrarsi della copertura mediatica di quanto è successo. Insomma più e tanto se ne parla, più e tanto gli individui in difficoltà sono portati a peggiorare la loro situazione.
Il rischio di suicidio aumenta quando l’avvenimento in questione viene esplicitato in tutti i suoi dettagli: foto del luogo, testimonianze di persone vicine al defunto, addirittura foto, anche se da lontano e sfocate, della salma. Tutto ciò, unito a sensazionalismi e romanticizzazioni della storia del suicida, non fa altro che peggiorare la situazione di chi può essere affetto dagli stessi problemi.
Una copertura attenta di questi eventi può invece cambiare il corso delle cose, la percezione sbagliata che molte persone in difficoltà hanno della loro condizione. Miti e credenze sbagliate che possono generare casi di depressione possono essere sfatati invitando la gente a pensare che tali problemi si possono affrontare e alleviare. Forse anche risolvere.

Uno dei maggiori errori che i giornalisti tendono a fare in questi casi è quello di andare a cercare la causa principale che ha portato il suicida a uccidersi. Ci sono molti fattori che causano il suicidio, ma il 90% è di solito causato da disturbi psicologici connessi all’abuso di sostanze, siano esse psicofarmaci, droghe o alcol.

La questione è molto più complicata ed effettivamente è molto riduttivo costruire storie e congetturare sui problemi che affliggevano questo o quel personaggio pubblico: alla fine bisogna ricordare che nonostante l’estrema popolarità, anche le persone straconosciute hanno, una sfera privata fatta di piccole cose, proprio come ce l’abbiamo noi. Può sembrare banale, ma è vero e innegabile. E importante.

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