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Perché gli expat sono solo bianchi e tutti gli altri sono immigrati

Nelle tendenze culturali che distorcono il significato delle parole è entrato da un po’ anche ‘expat’, vocabolo che abbrevia l’originale ‘expatriate‘, e che pare si adatti a una categoria di persone definite come bianche occidentali. Il resto sarebbe definito con termini che denotano condizioni più disagiate: immigrati, migranti.
Se ne lamenta Mawuna Remarque Koutonin, attivista africano, in giro anche lui come altri, ed evidentemente disturbato dal fatto che un bianco occidentale che non vive nel proprio paese d’origine sia definito un expat e tutti gli altri sono detti immigrati.

L’expat è una persona che si è trasferita dal proprio paese a un altro per lavoro, vive lontana dalle proprie origini e molte volte si è spostata per esigenze in un primo momento legate alla multinazionale per cui lavorava; poi, quando viaggiare ha cominciato a costare di meno e non aveva più bisogno del datore di lavoro che le pagasse il biglietto di sola andata, ha cominciato a spostarsi di propria iniziativa alla ricerca di una posizione migliore in un’altra nazione. Solo che se questa persona è bianca caucasica di origini europee – noi italiani bianchi, per esempio – allora expat va bene. Se questa persona è ghanese (come di qualsiasi altro paese non considerato del “primo mondo”) e laureata in ingegneria informatica e in qualche modo è riuscita ad arrivare in un altro paese per lavorarci, allora expat non va più bene e diventa un immigrato.
Non se ne capisce la ragione.

In paesi fatti per il business – Hong Kong, Singapore, Dubai – c’è una folta popolazione non nativa del posto che contribuisce all’economia locale: Singapore ha il 40% di residenti permanenti; Hong Kong permette ai residenti permanenti di votare 40 seggi su settanta del Consiglio della città. A Dubai, oltre ai ricchissimi emirati, ci sono tantissime persone che sono lì in pianta stabile per lavoro.

Appunto: paesi fatti per il business. Aree create e costruite esclusivamente per far girare soldi a palate, dove la residenza costa un bel po’ e via via inglobate dal capitalismo e liberismo più sfrenato che mai, dove le grandi multinazionali mandano i propri manager, i quali godono di agevolazioni fiscali che non sono altro che il frutto di accordi economici fra le multinazionali stesse e i paesi ospitanti.
Ma un expat può trovarsi anche in altri paesi, meno ‘dormitori’ e più pieni di storia centenaria. Se una multinazionale manda un proprio dirigente in Inghilterra, se questo è bianco allora si può considerare expat (questo sempre stando alla concezione convenzionale dell’expat).
L’expat dunque pare sia una parte attiva dell’economia del paese che lo ospita.
Come se gli immigrati non lo fossero.

Cosa (non) è un expat

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