Di giustizia, di giustezza. La gente ha fame di queste cose. E sembra che il torto sia fatto a loro di persona, quando i giudici della Corte d’Appello assolvono due imputati. Premesso – e anche con forza – che la cosa lascia indifferente il sottoscritto, che la morte di una ragazza a migliaia di chilometri da casa mia e dal mio mondo può solo rammaricarmi per lo spazio di due o tre minuti – il tempo di constatare come la mente umana sia capace di compiere delitti efferati e come sappia essere lucida durante il compimento stesso – finiti i quali (due o tre minuti) passo alla notizia successiva. Ecco, la mancata condanna di due che sinceramente non posso sapere se si meritano l’assoluzione o no mi fa pensare a una sola cosa: alle decine di oziosi che fuori dal tribunale di Perugia erano lì a sperare per la vittoria ola sconfitta di accusa e difesa; alle centinaia di giornalisti che riescono a trovare la ragione della propria vita nel raccontare l’ennesimo teatrino giudiziario dell’ennesimo caso di cronaca nera che nemmeno stavolta avrà un colpevole dichiarato; alle migliaia di affamati di questo tipo di storie, che come me vivono a migliaia di chilometri dall’accaduto, ma che pretendono di intendersi di codici civili, incidenti probatori e arringhe difensive come se in tribunale ci andassero loro, a testimoniare, a giurare di dire la verità o quello che gli pare. Tutti con la pretesa di avere un’idea precisa ed esaustiva dei fatti, tutti esperti di come sono andati i fatti quella notte che non c’erano, tutti esperti di tratti somatici criminali.
Non riesco a capire qual è il loro reale bisogno, quale lo scopo della loro presa di posizione nei confronti un avvenimento che non cambia minimamente il loro modo di vivere; quale il piacere nell’affrontare un tg o un’udienza per la voglia di arrivare in fondo e sapere chi è l’assassino, con la formazione in itinere di una propria opinione basata su non si capisce bene quali solide basi giuridiche o di sorta.
Beati loro che sanno queste cose, che sanno chi è l’assassino dallo sguardo dell’imputato manco fossero tutti Cal Lightman di ‘Lie to me’. Beati loro che hanno fame (e che restano affamati).
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