C’è chi lo perde, chi lo cerca e chi si DEVE permettere di lasciarlo, il lavoro, per stare accanto al proprio padre, carabiniere ferito e colpito al midollo, e che adesso rischia la paralisi totale, o qualcosa di simile che non starei qui a sottilizzare sul nome.
Adesso il lavoro di Martina è questo: accudire il padre malato. “Si riazzera tutto”, pare abbia detto in conferenza stampa, raccontata dai giornali come un’azione di grande dignità, che in fondo è quello di cui la nostra generazione, e forse ancor meno quella nata dagli Anni ’90, manca, è molte volte priva o ne viene iconicamente privata dagli esperti di sociologia che credono di conoscere i giovani studiandoli sui libri o nei sondaggi effimeri sui loro desideri effimeri. È vero, di cosiddetti neet è piena l’Italia, gente che a trent’anni è da dieci a carico di mamma e papà e vive ancora in una singola attrezzata per studenti, segue le lezioni e spera di piazzare qualche esame di un corso di laurea importante quanto difficile e in realtà al di sopra delle reali possibilità di chi l’ha affrontato da matricola e adesso ne piange le conseguenze, di anni persi a rincorrere una chimera, effimera anche questa.
La dignità si perde qui. La dignità e il suo significato, si riacquistano nelle parole di una ventitreenne che sa che non c’è tempo da perdere e sa che mentre piange la condizione infame del padre deve aiutarlo. Come non si sa: forse lei è cattolica e allora non crede nell’eutanasia; forse lei non è cattolica e combatterà da laica contro questo Stato che ti impone di vivere anche quando non vuoi perché non puoi. Non siamo lì con lei e non ci permettiamo di dirle cosa e come lo deve fare. A parte che ha dimostrato di saperlo. La sua storia personale, ormai diventata di dominio (e compassione) pubblico, non permette a nessuno di insegnarle quello che a ventitré ha già toccato con mano. La dignità viene riacquistata quando una di ventitré anni ti dice che si ricomincia, perché per vivere è bene avere dei progetti, pena lo smarrimento. Purtroppo il progetto a Martina gliel’hanno imposto un paio di proiettili sparati da un uomo che adesso merita tutto il disprezzo scaturito dalla voglia di non abbattersi di Martina. E non è Martina a disprezzarlo. È la sua voglia di non cedere, di continuare a esistere rimboccandosi le maniche e dicendo che non abbandona, che non ha tempo di pensare se perdonare o no chi gli ha rovinato la vita perché la sua era già stata rovinata. Il disprezzo scaturisce automaticamente dalla grande considerazione che Martina si è guadagnata con la sua determinazione a non fermarsi davanti a un piccolo uomo, che una mattina ha deciso di rovinare non tanto la sua di vita, già disperata e resa inutile e difficile da una serie di serie conseguenze di una società che si avvia a generare mostri. E quel piccolo uomo è stato sovrastato dal gesto di rimboccarsi le maniche e dalle parole di coraggio per se stessa che Martina ha proferito in conferenza stampa: “si riazzera tutto”.
SI ricomincia. Come dovremmo fare in tanti. Come dovrebbero fare quelli che ieri hanno dato la fiducia a questo nuovo governo, ché a ricominciare non è mai tardi, ma che rimandando per amor proprio o per gloria personale si rischia di far del male e generare altri mostri come quello che ha costretto Martina a ripartire.