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L’Excape Room di Bucarest e una riflessione spicciola sulla libertà impartita

Sono stato tre giorni a Bucarest. Nano si sposa e ha voluto fare l’addio al celibato là. Una cosa fra amici, di quelle che facciamo in media una volta ogni tre anni e che sinceramente ci vogliono: servono a tornare ad avere 17 anni in gita, ma col beneficio di poter averne il doppio, il che significa andare in giro per locali senza gli orari del prof, oppure potersi permettere di non visitare alcun monumento della città e piuttosto andare all’Excape Room, dove insieme ai tuoi compagni di avventura ti chiudono in una stanza a chiave per un’ora e devi intanto capire cosa trovare per poter uscire, visto che all’inizio non c’è nessun indizio. Non è pericoloso, sia chiaro. Cioè, il fatto che ti chiudano a chiave in una stanza per un’ora non è imputabile di sequestro di persona: è che paghi (45 Lei, ovvero dieci euro) e accetti il giochino di farti chiudere dentro, dove prima di lasciarvi soli, una ragazza biondissima spiega in inglese rumenizzato cosa fare e come farlo. In pratica bisogna trovare dei numeri per sbloccare dei lucchetti che chiudono degli armadietti e dei cassetti, e alla fine bisogna trovare una sequenza di numeri che permette di disinnescare una bomba. Niente di pericoloso, eh. La bomba è finta.

L’Excape Room si trova nel Centrul Vechi, che dovrebbe essere la parte più vecchia della città. Vechi, vecchio, molto vecchio. Case abbandonate, aperte alle intemperie e ai topi, fili dell’elettricità scoperti e penzoloni ad altezza d’uomo, cortili fatiscenti e cantieri ammezzati, buche estreme per le strade. Brutta storia quando quello che definiamo progresso promette se stesso, ma evidentemente la popolazione non è ancora pronta per progredire e allora torna indietro, involve, quando nello stesso tempo il progresso va da altre parti e nel mezzo del deserto urbano fatto di case fatiscenti costruisce Hilton e piazza McDonald’s. È un po’ come se in casa mia spendessi il 100% dei miei risparmi per un impianto audio-video da multisala, ma in bagno l’acqua scorre fredda e marrone. Forse la faccia oscura del progresso è proprio questa, e diventa più oscura quando arriva in posti dove vent’anni prima c’era un regime dittatoriale contrario alla ricchezza del popolo, e adesso quel popolo è rimasto povero perché non era abituato alla libertà e non l’ha saputa sfruttare a dovere. Molti dimenticano che l’uomo, in fondo, è un animale, e non tengono conto che gli animali lasciati liberi dopo una vita in cattività, vanno quanto meno abituati alla libertà. Sulla pagina facebook di The Dodo hanno postato un video dove alcuni animali tenuti in cattività probabilmente dalla nascita vengono liberati dalle gabbie verso ambienti a loro consoni in condizioni naturali. La prima sequenza vede delle volpi che mettono fuori il capo e cominciano ad annusare la terra a loro circostante, con sospetto, e prendono confidenza con quello che sarà il loro nuovo mondo,m dove dovranno imparare a difendersi per non sopperire. Ecco. L’uomo, un po’ è così. Anche se rimango dell’idea che un minimo di sostentamento da parte di una grande mamma che può essere lo stato centrale, bisogna che però impari a difendermi e a vedere com’è il mondo là fuori. Insomma, bisogna che impari a essere libero. Essere libero però non vuol dire essere lasciato da solo. In sintesi, quello che voglio dire è che da queste parti, come è mia impressione anche in altre parti dell’est europeo dopo la caduta dei regimi comunisti, siano stati “liberati” e lasciati da soli. Ma questo è un discorso più grande, che non può essere sciupato in questo posto.

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