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Primati

Titolo revocato. Senza se e senza ma. Senza strali contro la società, contro le autorità competenti, contro chiunque provi a mettere in luce le malefatte sportive commesse in anni di vittorie che alla fine sono a ragion veduta risultate dubbie. E non per niente. Certo, il campo è sempre quello che parla per ultimo e ha ragione. Ma non sempre. Non solo perché  il calcio è uno sport strano, dove al 90’ chi vince non ne ha sempre avuto il merito; il calcio è strano, quello moderno almeno, perché la vittoria costituisce un fatto di prestigio che quasi sconfina nell’onore, nel rispetto, forse in quei valori-non valori che si possono riscontrare nelle caste dei guerrieri medievali o dei samurai, quando la sconfitta era motivo di autopunizione fino a spingersi verso quella massima, la morte.
Il campo ha ragione, dicevamo. E la ragione è stata strana negli Anni ’90, perché a bordo campo e un po’ più in là le cose erano aggiustate, e ce ne siamo resi conto dopo, e se ne sono resi conto anche loro, a mezzo fra la venerazione di chi li ha portati in alto senza il paracadute e il malcelato imbarazzo di chi quel 26 aprile, per esempio, girò lo sguardo da un’altra parte perché c’era da vincere e basta (e continua a farlo lustri dopo). La ragione è poi stata annebbiata dalle stesse vittorie, dalla sbornia bella e piacevole nel vedere gli altri affannarsi a crederci, ad arrivare, a cominciare, ché la partita era già finita prima di cominciare. Fino a quando qualcuno non ha capito che si poteva provare a osare, mettere il dito in piaghe purulenti pronte a sprigionare puzzi altrettanto incredibili e in grado di diffondersi in ogni andito delle nostre froge. Tranne le loro. Perché ciò che è fatto è fatto, e guai a rimuovere quello conquistato “sul campo”. Il campo è sacro. Il campo parla. Il campo è incontrovertibile. Come ci si arriva e come se ne esce non importa, pace.
La storia ha parlato e zitti tutti, perché è impossibile ragionare e far capire che il primato è una cosa non solo fisica, di facciata e di forza vista. Il primato è qualcosa che rimane anche al di fuori e dopo il campo, va mantenuto saldo agendo in maniera tale da non incappare in rischi di ricatti o cadute di stile. Il primato non è scritto sulle maglie o sulle insegne dei circoli, non è inventato né discusso per non contravvenire alle regole. Il primato ha meno macchie possibili se non nessuna e di quel primato posso andare fiero, proprio perché io lo posso guardare nella sua pienezza e trasparenza totale. Il primato rimane e quando è stato raggiunto in maniera lecita e conclamata come tale non te lo leva nessuno. Solo in caso contrario, quando si palesa l’errore di chi ha “vinto”, il primato non è più tale e nella civiltà appartiene a quello che viene dopo.

Ma cecità, anche se fa rima con civiltà, non ne condivide gli stessi principi.

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