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Lode al giornalismo lento, e alla ‘gratificazione ritardata’

Ho il tesserino da giornalista pubblicista da meno di due mesi e l’ho preso perché mi sono invaghito di questa cosa circa sette anni fa, riuscendo alla fine ad avere un titolo per portare avanti avanti un progetto, ma qui si va su un altro argomento.
Insomma, sulla carta sono un giornalista. Mi mancano tante cose per esserlo nella realtà: bisognerebbe agire da giornalista, fermarsi davanti a un picchetto di lavoratori quasi licenziati e capire le loro ragioni e poi sentire anche le ragioni dell’azienda per cui lavoravano prima di fare il picchetto.
Oppure bisognerebbe navigare su internet, chiamare, mandare email e verificare che quello che trovo scritto si possa riscontrare e darne conferma.
Adesso non posso farlo. Tuttavia mi cullo nell’idea che lo possa fare, un giorno, e nel frattempo ammiro quello che fanno gli altri.

Come quelli della Slow Journalism Company, che nel Regno Unito pubblicano un trimestrale chiamato Delayed gratification, gratificazione ritardata, risultato dello stesso giornalismo lento che dà nome al collettivo.
Il manifesto di tutto fissa cinque punti sui quali si fonda il lavoro di questo giornale.

Essere nel giusto piuttosto che essere primi
È capitato anche a me di lavorare per la causa dello scoop. “Abbiamo dato un buco agli altri” è la frase che ho sentito dire con fierezza da chi organizzava il lavoro in redazione. Essere primi è costato quasi sempre incompletezza, e in redazioni piccole e affamate di lettori è successo anche che l’arrivismo abbia prodotto come notizie una riga scritta e una foto in casi di cronaca nera locale. Un rigo. Una foto.
Il tutto per la fame di click.

Investire nel giornalismo
Ogni singolo penny proveniente da ogni singolo abbonamento è reinvestito nello stesso lavoro giornalistico“. Non ho esperienza di gestione di un’azienda editoriale. Non ho idea di come si trattino profitti, perdite, guadagni e investimenti e quindi non posso esprimermi. Nella mia piccolissima esperienza ho sempre vissuto l’atteggiamento del proprietario come ansioso nei confronti del proprio budget, centellinato al massimo fino a inficiare il lavoro della redazione. Mia personale percezione.

Arrivare fino alla fine della storia
Molte notizie hanno un inizio, ma non se ne vede la fine. Non tanto perché non ce l’hanno, una fine, quanto perché nel mondo del giornalismo odierno tutto deve essere immediato e dato dalla sensazione. In più, molte volte arrivare alla fine di una storia significa non pubblicarla subito, e quindi non arrivarci primi (vedi sopra). Ma arrivare alla fine di una storia, di una notizia, significa quanto meno averne un quadro completo. Molte storie odierne si perdono, non consentendo di capire veramente di cosa si parla e magari capire chi ha ragione alla fine.

C’è uno spazio limitato per fare le cose…
… e quindi bisogna concentrare le forze in una direzione. Quella delle news a rullo continuo, 24 ore al giorno è una trappola nella quale non si deve cadere. Troppe cose frammentate, troppi pezzi da rimettere insieme. Meglio concentrarsi su poco, eliminando “speculazioni, congetture e chiacchiere“. E poi le pagine da riempire sono solo 120 ogni tre mesi.

Stop al rumore mediatico

Modern news production is filled to the brim with reprinted press releases, kneejerk punditry, advertorial nonsense and churnalism.

“La produzione moderna di notizie è piena fino all’orlo di comunicati stampa, saccenteria istintiva, pubblicità senza senso e giornalismo meccanico“.
Ora, per indicare il giornalismo meccanico, gli inglesi usano ‘churnalism’, che è una parola composta dall’unione fra churn (‘churn something out’ significa produrre meccanicamente qualcosa) e journalism. Sull’Oxford Dictionary la definizione di ‘churnalism’ dice:

Giornalismo basato sulla ripetizione o il riutilizzo di materiale ottenuto da fonti come comunicati stampa o circuiti di informazione, piuttosto che di ricerche originali.

Anche perché in determinate realtà non c’è tempo per fare ricerche originali e cercare di fare approfondimento: mancano tempo e risorse, e anche una certa dose di cocciutaggine di chi svolge il lavoro giornalistico, pur modesto che sia e nel piccolo di una redazione di provincia.
Ormai si fanno i giornali con i comunicati stampa“, disse una volta un veterano della carta stampata. E dall’alto della sua esperienza aveva ragione, come anche chi sostiene che “i veri clienti erano le agenzie pubblicitarie, mentre i lettori e gli spettatori erano solo un mezzo verso un fine. In tante redazioni il risultato è stato un cinismo che talvolta rasentava il disprezzo“. Io ho visto quel cinismo.

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