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Un paio di cose su come ci trattano allo stadio

Non sono un ultrà. Non sono all’interno di determinate logiche di lotta che contrappone due tifoserie, e neppure conosco i meccanismi che da anni regolano il mondo degli ultrà. Non mi interessa. Per principio sono abituato ad andare allo stadio perché sono coinvolto in quello che succede sul rettangolo d’erba verde e quanto sia collegato a come si esprimono quei ventidue lì in mezzo. Poi il folklore degli spalti, dalla ‘distinti’ alla tribuna alla curva, mi attrae giusto per farmi due risate e per osservare la varietà umana che popola questi luoghi.

Per concezione, ho maturato negli anni una neutralità geografica che mi ha portato a distaccarmi dai soliti commenti campanilistici tipici di ogni italiano medio. Le mie origini geografiche e familiari non mi permettono nemmeno di poter pensare di insultare questo o quel gruppo regionale. Di fatti sarei incoerente se mi mettessi contro qualche particolare espressione di località. Tra l’altro non ho mai trovato opportuno e vantaggioso lasciare andare un insulto nei confronti di qualcuno solo perché viene da qualche posto in particolare.

Tuttavia la provincialità dell’italiano si concretizza nell’eterno campanilismo che accompagna ogni mio connazionale, preoccupato di chiedere all’altro le sue origini non per curiosità e interesse nei confronti di cose diverse, ma per poter applicare un’etichetta che marchi e che distingua il prossimo, per poi potersi ricordare di leggere sempre la stessa cosa sulla stessa etichetta messa su persone diverse, ma pur sempre assimilabili al campione esaminato al primo contatto. Se alla piccolezza di voler ingrandire il divario fra nord e sud, fra est e ovest, fra riva destra e sinistra dello stesso fiume, aggiungiamo una certa allergia alle regole – a partire da quelle del buon senso – è facile capire come non c’è nessun tentativo serio di ovviare a questa situazione, ché alla fine fa comodo a tutti poter andare allo stadio, trasformarsi nel proprio alter ego e disprezzare tutto quanto non ha gli stessi colori dei nostri: fa bene alla salute, aiuta a sfogare su qualche sconosciuto e diverso quelle frustrazioni accumulate da un’esistenza ricca di soddisfazioni.

Da qui si arriva dritti al teatro a cui siamo lieti di assistere periodicamente negli stadi, dove si gioca se lo decide un tifoso e non chi è preposto per legge a far svolgere un evento pubblico in sicurezza. Ecco: mi sentirei un po’ in difetto, da Signor Qualcuno, se un signor nessuno mi permettesse o no di far giocare una partita o far svolgere un evento pubblico. Per me è come se uno arriva in piazza e comincia a dire alla gente di spostarsi perché ci si vuole mettere con una tenda. È limitante della libertà altrui, è riduttivo nei confronti del senso del rispetto, è controproducente perché crea un meccanismo per il quale è facile fare “un po’ come cazzo ci pare”.

In Italia, il “fare un po’ come cazzo ci pare” è quasi un must, un vantaggio intellettuale per il quale molti darebbero la vita tirando fuori la vecchia storia del diritto, perché in Italia a ledere i diritti delle persone si fa veloce e tutti vogliono averne. Così, allo stadio, proprio perché siamo attaccati ai nostri diritti, siamo costretti – noi gente qualunque – ad abdicare ai diritti altrui, perché i nostri non sono degni di essere considerati, nemmeno dalle autorità, che nell’incapacità (o nella volontà) di non minare i diritti dei più forti, si dimenticano anche i più deboli, ovvero noi che andiamo allo stadio per vedere la partita e non per tirare petardi o sprangare l’avversario.

Ricordo, per esempio, che quelle poche volte che sono andato a vedere l’Inter in trasferta a Firenze non c’era ancora la tessera del tifoso, per cui comprare un biglietto nel settore ospiti era sostanzialmente facile. Poi è anche nel mio portafogli è arrivata la tessera del tifoso – nient’altro che una carta prepagata che fa comodo alle banche – ed è stato impossibile seguire la mia squadra se non nei settori dedicati ai tifosi locali. Nulla contro i fiorentini, per carità, ma sentirsi addosso gli occhi di decine di persone ed essere assimilato al peggior criminale non fa mai piacere (rileggetevi la parte dell’“etichetta”). Quindi, il sottoscritto tifoso qualunque, che vuole acquisire il diritto di andarsi a vedere una partita in trasferta, una volta acquisito tale diritto in realtà l’ha già perso, in virtù di alcuni ragionamenti che in pratica impediscono a chiunque l’accesso al settore ospiti, a meno che non sia membro di qualche club riconosciuto dalla società ospite. Diritto negato, libertà compromessa.

La stessa libertà compromessa di centinaia di altri tifosi che aspettano la sentenza del primo esagitato di turno, al quale viene concessa udienza in diretta tv nazionale. No. Non ce lo possiamo più permettere. I diritti da rispettare sono quelli di chi se li guadagna giorno per giorno eseguendo un’esistenza senza molestie verso il prossimo, un’esistenza fatta di rispetto di semplici regole di quella convivenza civile che non è fatta solo di diritti. No. Non ci possiamo più permettere di creare finte regole per dire che ci sono, ma che poi gente che non diritto di avere diritti si passa il lusso di disattendere. Non possiamo più sottostare alle volontà di chi si sente padrone dello stadio e millanta di voler combattere il calcio moderno e le sue televisioni. Non possiamo più osservare delle finte leggi che altri non osservano e farci levare l’accendino dalla tasca quando altri entrano allo stadio con fare intimidatorio portando dentro di tutto. Non possiamo più assistere a guerriglia urbana, frutto di una completa arroganza di soggetti che non meritano nessun diritto, ma ai quali gli stessi che ci martellano chiedendoci i documenti lasciano il diritto di vedere le partite.

Ci vuole la mano pesante, perché se il calcio moderno delle televisioni ha svuotato gli stadi (almeno in Italia), di certo il calcio della spranga e della cinghiata non aiuta a portare la gente a vedere le partite.

2 replies on “Un paio di cose su come ci trattano allo stadio”

“disprezzare tutto quando non ha gli stessi colori dei nostri” Tutto quando o tutto quanto?
“da Signor Qualcuno, se un signor nessuno” perché non Signor Nessuno?
“ma sentirsi sentirsi addosso gli occhi di” ripetita iuvant
“convivenza civile che è non è fatta solo di diritti” insoma è o non è?

Ironicamente, ho inteso “Signor Qualcuno” come a indicare quelli seduti in tribuna vip, le “autorità”.

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